venerdì 1 maggio 2009

Una Repubblica fondata sul lavoro?

di Marco Maroni

Articolo 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Articolo 35
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Articolo 36
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Articolo 41
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Quattro articoli della nostra Costituzione da tener presenti, non solo in occasione del primo maggio. Il lavoro è al primo posto, è tra i Principi Fondamentali, all’economia privata è dedicato l’articolo 41 e non si manca di affermarne l’aspetto sociale. Non è un programma vetero socialista, è l’ordine delle priorità in un paese democratico, quello che si è dato l’Italia uscita dal disastro materiale e morale della guerra e del fascismo. Un ordine che mette i valori dell’uomo, della sua dignità e libertà, davanti a quelli del commercio e del profitto. Negli ultimi decenni quest’ordine sembra essersi invertito. L’ideologia del mercato è riuscita a condizionare tutti gli strati della società. Tanto che oggi l’economia non sembra più un mezzo ma un fine, al quale l’uomo deve servire: le politiche del lavoro sono solo quelle funzionali all’impresa. Il governo della destra sta spingendo l’acceleratore sulla disgregazione dei diritti del lavoro, e la crisi economica, di cui l’esasperato approccio neoliberista è la causa, gli fornisce nuovi pretesti. Risultato: crescita del precariato, compressione dei redditi, emarginazione del sindacato, peggioramento delle condizioni di lavoro e scarso rilievo al tema della sicurezza.
Un anno fa i lavoratori precari sono stati stimati in oltre 3.750.000 ed è sotto gli occhi di chiunque frequenti il mondo del lavoro come questa condizione sia in aumento. Sono lavoratori senza diritti, poiché il potere di ricatto dei datori di lavoro annulla ogni possibile rivendicazione. L’accordo “separato” (senza la Cgil) sul nuovo contratto di lavoro programma la riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori e stabilisce cosa i lavoratori possono chiedere e cosa no, diminuendo l’autonomia sindacale. Infine c’è la scandalosa revisione del Testo Unico sulla sicurezza varato dal Governo Prodi, che diminuisce le sanzioni per le imprese che non rispettano le norme e deresponsabilizza i manager. La priorità viene spostata dall’incolumità dei lavoratori ai costi per imprese e manager.
Ma ci sono segnali che le coscienze non sono del tutto assopite. Sulla revisione del Testo unico si sono pronunciati nei giorni scorsi la stragrande maggioranza dei Presidenti delle Regioni, oltre alla Cgil, al Presidente della Repubblica e a una settantina di docenti di diritto penale. Di pochi giorni fa è anche la bocciatura da parte del Parlamento europeo della direttiva che permetteva l’innalzamento dell’orario di lavoro in diversi settori a 65 ore settimanali. Una norma che non solo sarebbe antistorica (il progresso dell’economia è sempre andato di pari passo con la diminuzione dell’orario di lavoro) e inumana, ma anche assurda in un periodo di disoccupazione crescente.
Se ha un senso la celebrazione del primo maggio è quello di rimettere i lavoratori, i diritti, gli esseri umani, al primo posto.

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