lunedì 14 gennaio 2013

Il senso di un voto

A poco più di un mese dal voto del 24 e 25 febbraio, più che in campagna elettorale sembra di essere al Circo Barnum. Berlusconi ripete grotteschi numeri da avanspettacolo, vecchi di vent’anni ma ancora apprezzati da un certo pubblico. Grillo ne mette in scena dei nuovi, spesso altrettanto farlocchi, ma pure essi in grado di trovare audience tra le macerie di un sistema politico in crisi profondissima. Parecchie decine di sigle, gruppi, movimenti nascono, si scompongono, si ricompongono, turbinano vorticosamente attorno alla definizione delle liste e dei simboli che troveremo nelle schede. Un gran numero di politici e aspiranti tali sgomita per trovare un posto nelle prime fila, possibilmente in posizione di eleggibilità. Tutti, a partire da quelli più improbabili, dicono naturalmente che lo fanno per servire il popolo, quasi fossero missionari in partenza per sperdute lande africane. Eppure - almeno per chi sente di condividere idee e sentimenti che, con buona pace dell’eterna anomalia italiana, nel resto d’Europa si chiamano “di sinistra” - tocca armarsi di santa pazienza, evitare la tentazione di mettere tutte le erbe in un fascio da bruciare, cercare di capire che cosa succede sotto il fitto polverone che ammorba la scena politica. Succede che, secondo i sondaggi, la coalizione di centrosinistra, costituita da Pd, Sel e da una formazione capeggiata dal buon Tabacci, potrebbe – ma è prudente mantenere il condizionale - ottenere la maggioranza relativa dei voti e , quindi, la maggioranza assoluta dei deputati alla Camera, mentre per il Senato regna l’incertezza, dato che il meccanismo elettorale è diverso. Ora, ciascuno di noi è senz’altro in grado di formulare, anche nei confronti della coalizione di centrosinistra, una cospicua sfilza di perplessità e di dubbi. Però, nella gerarchia delle domande, la più urgente è: si vuole giocare questa partita, provare a incidere sul futuro prossimo che si prepara per l’Italia, oppure si preferisce lasciar perdere, magari testimoniare una (presunta) purezza ideologica, o più prosaicamente coltivare un proprio orticello parlamentare all’opposizione, lasciando ad altri la rognosa incombenza di governare? Se si sceglie la prima opzione, di tutto si può discutere ma si partecipa alle elezioni per vincerle e per governare. Chi sceglie la seconda opzione, dà invece già per scontato che l’Italia debba continuare ad essere governata dalla cosiddetta Agenda Monti (poco importa se con o senza Mario Monti in persona alla guida del governo). Infatti, se chi sta a sinistra del Pd si chiama fuori, spalanca la strada alle componenti montiane interne ed esterne al Pd, quindi a un governo di profilo sostanzialmente centrista. Personalmente ritengo corretta la prima opzione, che è quella di Sel, e pesantemente sbagliata la seconda, scelta dalla Lista Ingroia. Il cui principale, se non unico, obiettivo è l’erosione di consensi all’ala sinistra della coalizione di centrosinistra, cioè a Sel. La Lista Ingroia, per altro, è divisa al proprio interno tra chi non esclude un dialogo con il centrosinistra e chi al contrario persegue la contrapposizione frontale. E’ comunque evidente che - raggiunga o meno il quorum per ottenere una propria rappresentanza parlamentare - renderà ancora più difficile il conseguimento di una maggioranza autosufficiente al Senato da parte del centrosinistra. Se questo ragionamento ha un senso logico e politico, è importante che il voto degli elettori di sinistra si indirizzi verso Sel, per puntare anche in Senato a una maggioranza autosufficiente, in grado di governare autonomamente. La forza che gli elettori daranno a Sel sarà determinare, sia negli equilibri interni alla coalizione di centrosinistra, sia nel Parlamento. Se il peso di Sel risulterà scarso, ci terremo sostanzialmente l’Agenda Monti. Se risulterà consistente, le prospettive saranno diverse. Questo, almeno, a me pare chiaro. Stefano Morselli

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